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​Ostra Vetere: La spada di Zàuri, uomo libero

"E' rimasto l'esempio coraggioso del falegname che per non pagare una tassa iniqua s'era fatto pignorare casa"

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La spada di Zàuri

Quand’eravamo monelli, lungo il borghetto lavorava il falegnameZàuri, uomo di poche parole ma di grande carattere. Era un mito, prima e dopo la guerra. Durante il ventennio gli avevano imposto un’angheria.

Poiché la politica di allora voleva l’aumento della popolazione (“tanti figli alla Patria” era il motto), si era addirittura inventata una tassa sul “lusso Famiglia”: chi non era sposato e non aveva figli doveva pagare al regime questo “lusso”, perché bisognava fare figli, sempre più figli.

E infatti tanti si davano da fare in questo senso e il paese era cresciuto di popolazione: ancora al Censimento del 1951 registrava più di cinquemila abitanti e non rischiava così di cadere sotto la proposta di legge attuale dell’onorevole PD Lodolini.

Montenovo poteva rimanere comune autonomo. Poi il boom economico, dagli anni ’60 in poi, ha svuotato le campagne e tanta gente è emigrata al nord e Montenovo si è ridotto di popolazione. Adesso siamo intorno a 3.500 abitanti. Dovrà pagare il “lusso famiglia” per questo? Di certo, sotto il regime di allora, quella odiosissima tassa la volevano far pagare al falegname Zàuri, uomo di poche parole ma di grande carattere. Era un uomo libero, non s’era sposato né ci pensava a farlo.

Ma la tassa no, non voleva pagarla. E non la pagò. Gli pignorarono allora la casa e dovette sloggiare: via, a casa d’altri dovette andare. Succederà anche adesso una cosa simile? Poiché in paese non facciamo altrettanti figli di quanti se ne dovevano fare sotto il fascismo, c’è chi pensa di pignorarci il Comune e farci sloggiare: via, a casa d’altri anche adesso dovremmo andare.

Noi non siamo di poche parole come Zàuri, è vero, ma da lui abbiamo mutuato il carattere. Non ci arrendiamo, non ci “sposiamo” con altri Comuni, né vogliamo pagare la tassa-Jizya. Eravamo piccoli, negli anni cinquanta, ma Zàuri il falegname era un mito, nel borghetto: con una stecchia di legno che gli era avanzata ci aveva costruito una spada per farci giocare. Non c’erano giocattoli, allora. Dovevamo accontentarci di quel modesto trastullo artigianale. Ma Zàuri era un uomo giudizioso: aveva fatto una spada di legno, sì, ma non aveva fatto né il “filo” né la “punta”.

Non voleva che ci facessimo male: era un uomo pacifico, lui. Di carattere, ma pacifico. E noi, seppure delusi per quella menomazione, giocavamo ugualmente con “la spada di Zàuri”, l’uomo libero. Fantasticavamo a sognare avventure, fino a inventare eroismi.

E in vista di una sognata necessità di difesa, avevamo nascosto “la spada di Zàuri” fra i cespugli del “boschetto” sotto l’Ospedale, sicuri di potercela ritrovare al momento giusto. Ma non la ritrovammo più, chissà chi l’aveva presa. Lì non c’era e non c’è più “la spada di Zàuri”, né c’è più il “boschetto” e nemmeno l’Ospedale. Tutto finito. Ma lo spirito intrepido no, non è sparito. E’ rimasto l’esempio coraggioso del falegname Zàuri, l’uomo libero, che per non pagare una tassa iniqua s’era fatto pignorare casa. Sono passati tanti anni, il regime tiranno non c’è più da un settantennio, ma sotto nuove vesti e con differenti occasioni anche oggi si vorrebbe farci pagare un’altra tassa iniqua perché il paese fa pochi figli e non arriva più a 5000 abitanti come durante il ventennio. Allora imploriamo gli uomini dell’attuale regime: non siamo più monelli, ma non fateci tornare a cercare “la spada di Zàuri”, uomo libero.

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