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Ostra, al Teatro La Vittoria, “La Buona novella”

Adattamento e regia di Paolo Pirani, spettacolo proposto da Teatro Time Produzione Spettacoli

Il teatro La Vittoria di Ostra

Domenica 17 aprile alle ore 17:00 al Teatro Comunale La Vittoria di Ostra va in scena la ripresa del recital La Buona Novella tratto dal celebre omonimo album di Fabrizio De Andrè per l’adattamento e la regia di Paolo Pirani.

E’ la compagnia corinaldese Teatro Time Produzione Spettacoli diretta da Vittorio Saccinto (che ne cura le luci e la voce fuori campo) a riproporlo (aveva debuttato a Corinaldo al Teatro Comunale C. Goldoni nel 2012) in sostituzione dello spettacolo in cartellone Largo Al Factotum che per il momento è stato sospeso e che verrà recuperato il 6 luglio al Chiostro di San Francesco a Ostra alle ore 21:30 (in caso di cattivo tempo presso il Teatro Comunale La Vittoria).

Questo il cast: Mauro Morsucci e Caterina Fratesi (voci recitanti); Ingo Pasquali, Francesca Galli e Francesco Bruni (voci soliste e cori). Tastiere, arrangiamenti musicali originali e audio Roberto Cerioni coadiuvato dal chitarrista Giacomo Lanari.

L’ingresso è a posto unico € 5,00 (informazioni e prevendite presso FotoTecnica Ubaldi di Ostra 071.68079).

Lo spettacolo sarà riproposto solo in versione musicale nel convento dei Padri Cappuccini di Corinaldo il 2 giugno alle ore 21:00 in occasione dei festeggiamenti del 60° anno organizzati da Padre Stelvio Sagrati.

Ecco la trama: Attraverso i Vangeli apocrifi, scelti come traccia da seguire per elaborare la trama del disco, emerge la vocazione umana e terrena, quindi provocatoria e rivoluzionaria della figura storica di Gesù di Nazareth, già narrata in Si chiamava Gesù. In questo album la figura di Cristo è narrata attraverso quella dei personaggi che hanno a che fare con lui e la sua storia, mentre appare direttamente come protagonista solo nella canzone Via della Croce.

La narrazione, introdotta da un Laudate Dominum, inizia raccontando L’infanzia di Maria: la piccola Maria vive un’infanzia terribile segregata nel tempio (“dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e Signore”); l’impurità delle prime mestruazioni (“ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso”) provocò il suo allontanamento e la scelta forzata di uno sposo; il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il falegname Giuseppe (“la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa”) che la sposa per dovere e la deve poi lasciare per quattro anni per lavoro. Ne Il ritorno di Giuseppe si può cogliere la fatica della vita di Giuseppe; nel suo ritorno a casa porta una bambola per Maria, e la trova implorante affetto e attenzione.

Il sogno di Maria riporta la scena nel tempio. In un sogno l’angelo che usava farle visita la porta in volo lontano “là dove il giorno si perde”; lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo; il testo allude ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta (“parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre”) e si scioglie in pianto.

La maternità inaspettata (“ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e poi madri per sempre”), si esprime in Ave Maria, un omaggio alla donna nel momento del concepimento. Dalla letizia che traspare in Ave Maria il passaggio a Maria nella bottega d’un falegname è drastico: il ritmo dato dalla pialla e dal martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce (“tre croci, due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare”) con la quale il figlio di Maria ed i due ladroni verranno crocifissi. Via della croce è una delle canzoni in cui De André lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: “il potere vestito d’umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza”.

Infine, sotto la croce stessa: “non fossi stato figlio di Dio t’avrei ancora per figlio mio” dice la madre al figlio. Questo aspetto è completamente trascurato dai Vangeli canonici. Non appena i tre condannati vengono crocifissi, le loro rispettive Tre Madri stanno adagiate sotto le croci per confortarli. Le due donne dicono a Maria che non ha alcuna ragione di piangere così “forte”, dal momento che sa che suo figlio, al contrario dei loro, “alla vita, nel terzo giorno, […] farà ritorno”.

La canzone si conclude con le parole di Maria che spiegano il motivo della sua tristezza: “non fossi stato figlio di Dio/t’avrei ancora per figlio mio”. Ne Il testamento di Tito vengono invece elencati i dieci comandamenti, analizzati dall’inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù; i nomi dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco/Gesta Tito/Disma): Tito è il ladrone buono nel vangelo arabo dell’infanzia (l’altro è chiamato Dimaco).

Per quanto riguarda la musica, la prima strofa incomincia semplicemente con la voce ed un leggero accompagnamento con la chitarra, crescendo sempre più in strumenti e accompagnamenti fino all’ultima strofa. L’opera termina con una sorta di canto liturgico (Laudate hominem) che incita a lodare l’uomo, e non in quanto figlio di un dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.

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